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Ci scrive Guido Melis: "Con l'amico Giovanni Farese abbiamo avuto e riceveremo domani il Premio Sele d'oro per avere ideato e curato un libro sulla storia del Formez che dedichiamo a Sergio Zoppi, storico promotore e instancabile animatore di un ente che molto ha operato negli anni di fine Novecento per il riscatto del Mezzogiorno".

Info sul premio: https://seledoro.eu/ 

Da ieri pomeriggio non è più con noi Isabella Zanni Rosiello. Aveva più di 90 anni, dei quali oltre 30 (dal 1973 al 1994) trascorsi alla direzione dell’Archivio di Stato di Bologna, prestigiosa istituzione da lei trasformata in uno degli istituti tra i più moderni a livello nazionale e internazionale nel campo della conservazione e valorizzazione della memoria. Nelle scuole di archivistica aveva insegnato con dedizione, allevandovi intere generazioni di giovani, con molti dei quali si era saldato un rapporto destinato a diventare duraturo anche nella loro futura vita professionale. Insegnava soprattutto la storia degli archivi, convinta come sempre fu che questa rete di istituti (statali in origine, ma via via anche di natura “privata”, nati spesso dalla iniziativa di personalità e gruppi di studiosi, dall’impegno di imprese industriali e di istituzioni bancarie, dall’opera di grandi istituzioni della cultura e dell’economia, dalla iniziativa coraggiosa di piccoli e grandi comuni e di province) costituisse molto di più di un immoto deposito della memoria ma rappresentasse invece una fondamentale risorsa, dinamica e sempre attiva, per l’Italia di oggi: una riserva inesauribile per capire chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove andiamo noi italiani in questi scombinati anni Duemila.

Non c’era, nell’insegnamento di Isabella, mai nulla di astrattamente dottorale, niente che richiamasse l’erudizione fine a sé stessa: viceversa dominava costantemente ciò che faceva la sua ricerca sulle fonti, anche sulle più remote; oltre che la indiscussa competenza filologica acquisita in anni di studi, la ferma consapevolezza che quei documenti, quegli archivi che li avevano per secoli raccolti, conservati, ordinati, messi a disposizione degli studiosi, fossero essi stessi “contemporanei”, cioè servissero qui e oggi a rispondere alle domande poste dall’attualità e ne svelassero anzi spesso le segrete radici, senza le quali anche ciò che si dice attuale in realtà è destinato ad riventare rapidamente meramente antiquario (un fossile ammuffito) oppure, sennò, a scomparire come inutilmente effimero.

Isabella è stata innanzitutto una grande archivista, esponente di una tradizione che vanta in Italia illustri predecessori: tra i quali le avrebbe certo fatto piacere che ne ricordassimo qui almeno uno, alla cui lezione fu profondamente legata: Claudio Pavone. Ma come Pavone fu anche innovatrice della archivistica, e soprattutto fu affetta dal nobile, inestinguibile morbo dello storico di razza. Mai Isabella si fermò davanti alle frontiere disciplinari. Sempre le valicò arditamente, animata dalla sua indomita passione per la ricerca storica. Attraversò continuamente quel confine labile e mobile che distingue la scienza archivistica da quella storica, ponendole nei suoi libri e saggi perennemente in reciproco, quasi indivisibile rapporto. Basta scorrere (limitandosi qui forzatamente ai titoli più importanti: ma sarebbero da citare la miriade delle schede, recensioni, riflessioni più o meno occasionali, partecipazioni a dibattiti e tavole rotonde) la sua ricchissima produzione scientifica: dal remoto L’unificazione politica e amministrativa nelle ‘Province dell’Emilia (1859-1860), Milano, Giuffrè, 1965 al fondamentale Gli apparati statali dall’Unità al fascismo, Bologna, il Mulino,  da lei curato nel 1976 (molti di noi abbiamo cominciato a studiare la storia delle istituzioni proprio partendo da quel testo-base); da Archivi e memoria storica, un “classico” destinato come tale a non essere dimenticato (Bologna, il Mulino, 1987), a Andare in archivio, Bologna, il Mulino, 1996, che si presentava come un modesto vademecum ed era invece una riflessione profonda su come si “legge” un archivio dal suo interno.

Intanto, con gli anni Novanta, la chiave di volta “archivistica”, che le aveva consentito con una intelligente “strategia” culturale di penetrare nel territorio degli storici, andava sempre più fondendosi con la passione storiografica. Ne venne una sequenza di volumi – tutti di grande presa sul pubblico dei lettori – che contrassegnò positivamente il secondo tempo di Isabella, quello della sua operosa vita di pensionata mai davvero in pensione. Ne citeremo qui soltanto alcuni, rimandando per gli altri, i saggi in riviste e periodici, alla corposa bibliografia: Gli archivi tra passato e presente (Bologna, il Mulino, 2005); Gli archivi nella società contemporanea (ivi, 2009). Ma soprattutto l’affascinante e impegnativo Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea (Milano, Bruno Mondadori, 2007) scritto in stretta collaborazione con Linda Giuva e Sandro Vitali, denso di contenuti teorici; e l’apparentemente svagato (un divertissement ci parve, nel leggerlo per la prima volta: ma era tutt’altro) I donchisciotte del tavolino. Nei dintorni della burocrazia (Roma, Viella, 2014), che apriva (con altri volumi coevi, per esempio quello, sullo stesso tema, di Luciano Vandelli) una nuova strada: la burocrazia vista attraverso gli occhiali dei letterati.

C’era poi, e non posso non parlarne qui, anche se lo farò pudicamente (come lei avrebbe voluto), Isabella Zanni persona, cioè l’umanità straordinaria che era Isabella. Della quale -lo dico subito – sono stato amico sin dagli ultimi anni Ottanta e sino ai giorni tristi della sua morte annunciata. Insieme abbiamo dato vita a molte iniziative, cominciando dalla creazione della Società per gli studi di storia delle istituzioni, che ha ormai oltrepassato i trent’anni di vita, e nel cui direttivo Isabella è stata a lungo, contribuendo non poco a quella promozione del rapporto tra storici delle istituzioni e archivisti che del nostro programma di lavoro ha rappresentato forse la parte più significativa.

In questi anni (e non sono stati pochi) non c’è stata iniziativa alla quale lei non abbia partecipato con generosità e intelligenza, non convegno o Giornata de “Le Carte e la Storia” presso il Mulino dove non abbia preso la parola, non riunione di redazione alla quale non abbia dato il contributo sempre determinante dei suoi interventi, non articolo significativo che non abbia destinato a “Le Carte e la Storia”. Cara, carissima Isabella. Del resto – dell’amicizia che ci ha unito per tanti anni – non parlerò: l’amicizia è un bene prezioso, che va custodito nel tempo e con cura, alimentato di scambi e idee anche estemporanei, nutrito perennemente di stima e affetto reciproci. Di tutto questo, del regalo d’essermi amica sino alla fine, Isabella mi ha fatto un impagabile dono. 
[Guido Melis, 5 agosto 2025]

 

Fonte: https://www.fiapitalia.it/premio-democrazia-e-liberta/ 

 

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